i collaboratori come “soci” della farmacia

In diverse occasioni, durante qualche seminario presso le varie sedi delle associazioni di categoria o le cooperative, mi è stata posta la domanda, un po’ provocatoria per la verità, se sia giusto commisurare la retribuzione dei dipendenti alla redditività della farmacia, per sua stessa natura variabile, e trattare i collaboratori come “soci” della farmacia.

Una storia vera

È questo è stato il caso di un titolare dalla cui domanda colsi l’occasione per incontrarlo in farmacia e avviare anche un’attività di consulenza. Ma, appena incominciato il lavoro, questo si interruppe velocemente, facendo io giusto in tempo a colloquiare con ciascuno dei collaboratori presenti. Il motivo, mi fu spiegato, era ascrivibile a un momento di crisi nella gestione, nulla di personale. Questo farmacista, per dirla tutta, era piuttosto burbero nei suoi atteggiamenti usuali e difficilmente traspariva passione in ciò che faceva.

Un bel giorno, trascorso qualche mese, lo richiamai per sapere se avesse incominciato a mettere in pratica i consigli che avevamo condiviso, invitandolo a compiere un secondo passo del percorso consulenziale, finalizzato a migliorare la propria leadership sviluppando i talenti presenti tra i collaboratori della farmacia. Per tutta risposta mi informò che una delle dipendenti, che aveva letteralmente cresciuto sin da ragazza, era stato costretto a mandarla via perché scoperta a rubare in magazzino!

La cosa mi lasciò alquanto turbato, anche perché il tono utilizzato dal mio cliente lasciava intravedere una certa ironia nei miei confronti, come se dai colloqui avessi dovuto accorgermi della ladra in casa. Non avendo doti paranormali, né la sfera di cristallo, colsi l’occasione per riflettere e gli chiesi nuovamente se avesse incominciato ad applicare i consigli scaturiti dai primissimi e unici incontri. Uno di questi era: scopri le mete dei tuoi collaboratori. Nulla!

La provocazione

A quel punto mi venne esplicitamente chiesto: “Cosa avresti fatto tu?” e io: “Beh, un furto è un furto, ma avrei fatto accomodare la persona disonesta e ne avrei approfittato per chiederle il perché di un gesto così grave! In particolare se devo partire da una prospettiva inusuale, appunto, avere i collaboratori come “soci” della farmacia”.

“Sai, quel che è fatto è fatto, ma vogliamo trarne almeno un insegnamento? Cosa frullava, e da quanto tempo, nella testa di costei? Quale suo desiderio non aveva soddisfatto in una pur lunga collaborazione? Chi la stava influenzando, anche all’esterno del luogo di lavoro? Era cambiato qualcosa nella sua vita che tu hai considerato irrilevante? Come lei si sentiva trattata da te?…”.

Il potere delle domande

Insomma, più domande fai e più ne sai; l’importanza di un punto di vista, di una informazione raccolta, vale quando si ha a che fare con i clienti e altrettanto vale in caso di collaboratori: quanto è utile conoscerlo, anche se discordante dal nostro?

Ero partito con la possibilità dell’applicazione di emolumenti variabili al personale, in linea con i trend di mercato (ce ne ricordiamo soprattutto quando sono negativi…) e sono giunto a questo episodio testé raccontato: chissà se la filosofia retributiva di quel titolare già da tempo traspariva dai suoi comportamenti e dalle sue emozioni; e se ciò fosse alla base di istinti vendicativi?

Ma queste sono solo mie supposizioni e fantasie…

La remunerazione di un titolare

Sul punto innanzitutto tengo a precisare che la remunerazione di un titolare, lo dico anche altrove, è duplice, per il semplice motivo che nella redditività della farmacia devono essere valorizzati l’impegno lavorativo, che possiamo definire una costante, e il rischio d’impresa che, viceversa, rappresenta una variabile.

È una semplificazione, la mia, perché in realtà per un’impresa o per un professionista tutto il reddito è soggetto alla variabilità e al rischio “mercato”, ma in prima istanza concedimela come una schematizzazione a puro titolo didattico.

Questa doppia componente reddituale non si verifica, di prassi, per la remunerazione dei collaboratori, a meno di situazioni in cui esistano forme di incentivazione. In ogni caso, anche se ciò fosse, si avrebbe in ugual modo una componente fissa e una variabile; la prima stabilita da accordi contrattuali di categoria e la seconda da specifiche intese in sede. La prima remunera l’impegno lavorativo e la seconda gli incrementi di risultati attesi.

La remunerazione di un collaboratore

Orbene, si può dire che il collaboratore vede la componente “rischio” d’impresa nella sola parte variabile della propria busta paga, un po’ come avviene per l’analoga componente che remunera il titolare.

Per tale motivo ritengo di dover difendere la posizione della parte debole (i collaboratori), perché se oggi qualche titolare si lascia prendere dall’ansia del costo del lavoro, cercando quantomeno strane vie di fuga, mi chiedo se quello stesso titolare (non tutta la categoria) abbia pensato, in tempi di “vacche grasse”, a meglio riempire le tasche dei propri dipendenti…

D’altronde, se riduci il rapporto di lavoro ai minimi termini, a puro calcolo economico, ciò significa che hai ridotto ai minimi termini il rapporto umano Altro che vedere i collaboratori come “soci” della farmacia! E puntualizzo: se ritieni che il reciproco rispetto degli accordi contrattuali sia tutto nel lavoro, ti sbagli e di molto, poiché il lavoro è una forma di espressione vitale dell’essere umano e tale condizione non è totalmente inquadrabile da norme legislative e riducibile a regole meccanicistiche.

Il falso coinvolgimento dei collaboratori

Una di queste regole riguarda appunto quella che amo definire il falso coinvolgimento dei lavoratori. Chi opera attraverso di essa gestisce il personale come se fosse un “socio” della farmacia e può appartenere a una delle seguenti categorie:

  1. titolare “inconsapevolmente cattivo”: è tentato dallo stabilire lo stipendio dei collaboratori, se solo fosse nelle sua facoltà, a seconda dei risultati aziendali;
  2. titolare “maligno”: peggio mi sento, è colui il quale ragiona sempre nell’ottica della piena variabilità retributiva (o con una componente fissa molto bassa), ma giustifica con la congiuntura economica il suo pensiero. È “maligno” perché, rispetto al primo, si deresponsabilizza sui risultati e, se le cose vanno male, dovranno andar male proporzionalmente per tutti. È un gioco sporco, poiché chi sceglie di fare il titolare ha già deciso a priori di affrontare maggiori rischi!

Il collaboratore non è un imprenditore e può rischiare il proprio posto di lavoro, semmai, ma non si può pretendere di averne i servigi senza pagarlo nel rispetto degli accordi contrattuali i quali, se sembrano onerosi in fasi recessive, possono essere oltremodo economici in momenti di espansione, soprattutto se li raffrontiamo ai talenti personali disponibili.

Piuttosto che parlare di costi, anche per le persone bisogna parlare di valore: individuare i talenti in ciascuna risorsa, valorizzarli e valutarli nel tempo è un lavoro per veri leader! Adesso puoi vedere da altre prospettive la provocazione dei collaboratori come “soci” della farmacia…

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