LA PANDEMIA MAESTRA DI MARKETING: CHI VI SOPRAVVIVERÀ?

Il marketing nel tempo si è trasformato da disciplina della parola (pubblicità, frasi accattivanti) a disciplina dell’ascolto: oggi, sia a livello individuale che collettivo, ogni attività di branding non può prescindere dall’ascolto profondo. D’altronde, impariamo a parlare ascoltando, cresciamo ascoltando, ci relazioniamo e siamo ben accetti se sappiamo ascoltare. Vale per le persone e vale per le aziende, in qualunque condizione e qualsiasi epoca. E il marketing accompagna e, al contempo, contribuisce a costruire la storia di ciascuno. Ma, nonostante le evidenze, questo non è ugualmente vero per tutti e, come è avvenuto per la pandemia, ci sono pareri discordi su come affrontare l’emergenza, prima, e il futuro, subito dopo.
L’ATTEGGIAMENTO NEI CONFRONTI DEL CAMBIAMENTO
Se guardiamo ai tempi che viviamo, non c’è dubbio che più di qualcosa sia cambiato negli ultimi anni, ma ciò che fa la differenza è l’atteggiamento di chi ritiene le trasformazioni sociali un passaggio effimero o transitorio, e necessariamente da subire, rispetto a chi intravede nello “sparigliamento delle carte” la possibilità di agire per ottenerne un vantaggio competitivo.
In questo secondo caso c’è da chiedersi se per assicurarsi ciò basti una pur arguta intraprendenza da parte di un’organizzazione o di un individuo; o gli ingredienti del successo sono ben altri? Bisogna dire, innanzitutto, che i vantaggi si realizzano per una chiarezza della vision e degli obiettivi aziendali (e personali) e per la concentrazione degli sforzi organizzativi (e individuali) finalizzati ad attuarli. La visione senza azione è semplicemente un sogno. L’azione senza visione è solo un passatempo. La visione con l’azione può cambiare il mondo, sentenziava Joel Arthur Barker.
Pertanto, in particolar modo quando la turbolenza del contesto non dà precise indicazioni sulla direzione da intraprendere, è opportuno focalizzarsi su tre fattori:
- si deve definire chiaramente un obiettivo in linea con i propri valori e la propria visione delle cose,
- si deve lavorare alla costruzione di una reputazione e, vieppiù,
- occorre decidere di relazionarsi (è una scelta!) con quelle persone che hanno effettivamente bisogno di noi, ci trovano utili e per i quali diventiamo un riferimento, un’opportunità.
È evidentemente necessario un elevato senso etico, uno stile, un linguaggio appropriati per trovare una collocazione nella mente degli interlocutori che desideriamo raggiungere, ai quali cerchiamo di farci conoscere, e non si deve aver paura di prendere una posizione ben definita, scremando così i soggetti che ci ammireranno per questo da quelli oggettivamente lontani dalle nostre idee e dal nostro modo di esprimerle. Solo così si renderà la nostra identità nota ad un certo pubblico e da questo riconosciuta, apprezzata e condivisa, rendendosi sempre più fluidi la comunicazione, il dialogo e lo scambio di informazioni.
ATTENZIONE, ESPERIENZA, IDENTITÀ
Ma occorre stare in guardia, perché la nostra è un’economia dell’informazione: la sua abbondanza è inversamente proporzionale al livello di attenzione e un’informazione che non ha senso per il destinatario è condannata all’oblìo. Il “non senso” non è relativo solo alla qualità dei contenuti: la modalità espressiva può facilitare od ostacolare una veloce comprensione. Metafore, storie, miti, tradizioni, slogan vengono perciò utilizzati nel facilitare la condivisione dei messaggi. Ahimè, lo sanno bene i manipolatori, perché è vero che ogni parola suscita emozioni e, conseguentemente, può condurre a decisioni più o meno pilotate!
Di sicuro le persone hanno bisogno di ritrovarsi in storie vere o quanto meno verosimili, non nel mondo fatato della pubblicità che parla ai bisogni della gente ma non ascolta, anche perché esse hanno già sperimentato la metamorfosi da bisogno o necessità (spesso individuale) a desiderio (spesso collettivo: ad esempio, ci rassicura acquistare ciò che piace agli altri!); ma le stesse hanno anche toccato con mano il passaggio cruciale dal semplice utilizzo di un prodotto all’esperienza fatta attraverso i prodotti. Il benessere diffuso si manifesta ormai così e i beni scelti dai consumatori rappresentano un modo per costruire e trasmettere agli altri la propria identità. Lo sanno bene i brand della moda (ma anche quelli di moda) che costruiscono attraverso i prodotti e la loro comunicazione un messaggio di sicurezza e un’identità che va ad impattare, per somiglianza, il bisogno di sicurezza e l’identità di un ben preciso tipo di pubblico.
Ebbene, oggi le persone sono più informate, più individualiste, più indipendenti: quale leadership emozionale si può costruire con loro? Quanta attenzione si riceve e, per contro, quanta empatia viene trasmessa a costoro? Il mercato, si sa, è diventato una guerra tra percezioni e l’ascolto del cliente o, meglio, degli altri in generale si è elevato a leva strategica per percepire in anticipo bisogni, desideri, aspettative.
Il consumo e il consumatore hanno assunto perciò un ruolo attivo e trainante che condiziona le scelte e le proposte aziendali. Non è un caso che un’eccessiva “distrazione” delle aziende porta, secondo i dati Nielsen, al fallimento entro un anno di tre prodotti nuovi su quattro lanciati sul mercato. Siamo giunti in un’epoca in cui non è più il consumatore a doversi adeguare alle scelte e alle proposte delle aziende, ma viceversa. Lo scopo di una strategia, quindi, è trovare il modo per cambiare l’azienda, non per trovare o convincere il cliente. Comprendere le percezioni e le emozioni di quest’ultimo è più importante che predisporre una puntuale previsione aziendale o intensificare una campagna sui social network.
BENEDETTE EMOZIONI
Ma perché le emozioni, la loro creazione e la loro percezione, sono diventate così essenziali nella relazione prodotto-cliente, ovvero azienda-individuo? L’emozione è un movimento dell’anima che infonde energia, quando è positiva, ovvero la distrugge quando è negativa; quindi non è mai indifferente se rapportata ai comportamenti umani. Orbene, tra questi comportamenti ci sono anche le decisioni e, tra esse, le decisioni d’acquisto. Le emozioni positive ci illuminano, ci ampliano le prospettive, aiutano a comprendere meglio la realtà che ci circonda, sollevano interessi, sostengono nella fatica. In una parola, le emozioni favoriscono le attività cognitive. E, non ultimo per importanza, le emozioni vincono sulla ragione, che insegue e che, nelle sue capacità, cerca una razionalizzazione a posteriori delle decisioni d’impulso, attraverso il meccanismo della giustificazione. E siccome a nessuno piace svalutarsi, è probabile che tali giustificazioni siano quantomeno indulgenti verso le scelte istintive, seppur non sempre ottimali. Insomma, la mente razionale insegue e spesso “copre” la mente impulsiva anche quando non si tratta di comportamenti efficienti o efficaci. Ciò significa che in un processo decisionale, come è anche la decisione d’acquisto, le nostre abilità cognitive svolgono un ruolo comunque subordinato e secondario rispetto alle nostre capacità emozionali.
Che le emozioni abbiano il sopravvento sulla ragione lo possiamo percepire nella tendenza a prediligere il piacere immediato alla felicità a lungo termine, conducendoci verso preferenze semplificate: il paradosso della troppa scelta, infatti, ci spiega che, nel bisogno di appagamento immediato, quando ci troviamo di fronte a più opzioni il nostro processo di acquisto viene rallentato e non favorito. Anche l’utilizzo delle carte di pagamento, distaccandoci dal denaro fisico, fa sì che venga incoraggiato il piacere immediato dell’acquisto al dolore, altrettanto immediato, del distacco dal proprio denaro. Per non parlare degli acquisti compulsivi per compensare elevati livelli di stress…
CHI SOPRAVVIVERÀ ALLA PANDEMIA
Tornando all’interrogativo di partenza, chi sopravvivrà alla pandemia? Categoricamente, solo coloro che accetteranno il cambiamento e apprezzeranno l’umiltà del silenzio attivo; tutti gli altri, i negazionisti della metamorfosi in atto, vorranno solo riprendere a spingere sulle leve che hanno caratterizzato le strategie comunicative e commerciali sino ad oggi. E il marketing come potrà venire in aiuto di individui e aziende? Alzare la voce, in un mondo che in passato ha premiato certamente chi ha adottato un simile comportamento, da oggi non sarà più altrettanto efficace; anzi, chi insisterà nel farlo non avrà scampo: imporre, piuttosto che consentire al cliente di decidere, sarà sempre più difficile.
Viceversa, definire obiettivi chiari, costruire eticamente una reputazione ineccepibile e non avere timore di segmentare e scegliere il proprio pubblico con cui relazionarsi, partendo dall’ascolto profondo, rappresentano i tre pilastri su cui fondare quel cambiamento e quel vantaggio competitivo attraverso i quali individuare la propria strada verso l’autorealizzazione e il successo. E tutto ciò vale per i grandi e per i piccoli, per le organizzazioni e per i singoli individui. Già Chris Anderson qualche anno fa ha parlato di trasformazione dal mercato di massa alla massa di mercati…
L’acquisizione di un nuovo cliente è diventato uno scopo riduttivo nel marketing attuale; oggi, grazie ai social, si parla sempre più di “fan”, cioè di soggetti entusiasti delle proposte di un’azienda o di una persona che si riconoscono non per caratteristiche biometriche o sociali comuni ma per la condivisione di valori, modi di comunicare, interessi. E questi individui, seppur accostati l’un l’altro ma in una “piazza virtuale”, hanno la forza di condizionare le scelte di chi comunica qualcosa a loro e di ribellarsi se le loro aspettative e le promesse rivoltegli non vengono pienamente soddisfatte. Questa è la forza del nuovo passaparola e l’esempio delle recensioni che visualizziamo sempre più spesso alla ricerca di conferme calza a pennello.
C’è tanta roba su cui meditare per modificare radicalmente le strategie aziendali seguite sino ad oggi. Oggi è già passato.
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