Vendere e promuovere

cosa studiare all’università

Affrontiamo il tema della formazione professionale e, innanzitutto, di quella universitaria e chiediamoci, appunto, cosa un farmacista deve studiare all’università.

Premessa

Non è difficile, ancor oggi, incontrare farmacisti che considerano la vendita come un tabù, ovvero amorale o, più semplicemente, una nota stonata in farmacia. In una parola: un “delitto”.

Sto parlando, è vero, di farmacisti collaboratori (i titolari stanno subendo, ahimè, tutto il danno economico di quest’atteggiamento e pagano di tasca propria questo errore strategico!). Ma un delitto nei confronti di chi? È ovvio, nei confronti dei pazienti! Ecco il nocciolo della questione su cui bisogna soffermarsi preliminarmente, se si vuole affrontare il capitolo sulle vendite in modo corretto: chi sono i cosiddetti “pazienti”?

Chi è il tuo concorrente

Oramai da tempo, tutte le volte che inizio un percorso formativo sulle vendite con i farmacisti, mi diverto aprendo la giornata con un’affermazione quasi scontata: “Chi è il tuo concorrente?”, chiedo ai presenti, i quali mi vedono con sufficienza e, senza troppa voglia di interagire, osservandosi l’un l’altro per paura di fornire la risposta sbagliata, incominciano timidamente a dichiarare: “La parafarmacia… l’ipermercato… quel disgraziato del collega che sta sulla stessa strada…”.

Li invito a spingersi oltre, ma è difficile che possa trovare nuove risposte.

Meraviglia!

Poi, all’improvviso, esclamo: “Il ristorante di fronte!”.

Magari, iniziando a lavorare di sabato mattina presto, nella farmacia chiusa, succede che qualcuno allunga lo sguardo fuori la porta, cercando di capire se si è perso qualche novità nei giorni precedenti e qualcun altro, invece, incomincia a farsi strani pensieri sul mio conto, non senza un briciolo di fondamento.

Ma è solo un briciolo poiché, lasciato loro il breve lasso di tempo per riempirsi la mente di qualche punto interrogativo sulle mie abitudini alimentari, prontamente riprendo: “Oggi è il compleanno di mia moglie!…”, e mi fermo a notare  i volti di chi mi sta di fronte.

Già mi immagino quei pensieri sarcastici che vanno dal “E chi se ne…” al “Ma se tutte le volte questo qui inizia così, chissà quanto sarà vecchia la moglie…!”. Dopodiché proseguo, con faccia serafica: “…E sto pensando di farle un regalo”.

A questo punto la scena che mi trovo di fronte incomincia a variegarsi: c’è chi mantiene la maschera dello scetticismo, chi ha ancora la pazienza di darmi fiducia, dal titolare pagante a chi è oramai là e deve trascorrere in qualche modo la giornata, chi si illumina e inizia a intravedere qualcosa che neppure i numerosi corsi sulle tecniche di vendita, che le ditte fornitrici organizzano, gli hanno fatto intendere (perché sono pensati, necessariamente, per “vendere” innanzitutto a te l’idea della bontà del proprio prodotto…).

A cosa pensa il tuo cliente

Sono convinto che la prospettiva si sta ampliando: quante probabilità ci saranno che il sottoscritto, con l’idea del regalo nella testa, possa pensare a  te e venire nella tua farmacia?

Purtroppo, se non hai mai fatto nulla per migliorare l’esperienza che le persone entranti fanno nel tuo ambiente di lavoro io, non avrò che scarse possibilità di immaginare che un bel cosmetico (dico “bel”, non “buon”, bada bene, perché riprenderemo quest’argomento più innanzi) possa essere la soluzione giusta alle mie necessità e mi indirizzerò, in compagnia del mio portafoglio e accompagnato dalla mia signora, felice verso il ristorante…

L’approccio del farmacista

È comprensibile che il bravo collaboratore possa spazientirsi, perché è una vita che fa delle buone maniere nel relazionarsi al pubblico, dei corretti consigli sull’utilizzo dei prodotti e sui più idonei comportamenti salutistici, del suo aggiornamento professionale, della rapidità al banco (su questo punto ci ritorneremo!) la sua più profonda essenza dell’essere un buon farmacista.

Ha studiato, come ben sai, molecole e principi attivi, ma ai tempi dell’università non conosceva molto di più, neanche i nomi commerciali dei prodotti che li includono. In una parola, non si è mai posta la domanda su cosa studiare all’università. Il che lo ha reso un ottimo tecnico, senza immaginarsi che un giorno si sarebbe occupato dei rapporti commerciali per la maggior parte del suo tempo lavorativo.

Solo che, mentre ha apprezzato sulla sua pelle lo sforzo e il tempo necessariamente investiti per diventare un tecnico della materia, può non immaginare che occorre impegno per diventare quello che oggi il mercato gli chiede di essere: un risolutore di problemi che riesce a far fare una bella esperienza alle persone che entrano in contatto con lui!

Concludendo

Se hai compreso, quindi, cosa studiare all’università sai che devi darti una mossa. Al lavoro, quindi, perché si tratta di “discipline” che l’università stenta ancor oggi a fornire.

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farmacisti generazione di fenomeni (nuovidea.it)